Diocesi di L'Aquila – Forania di Pettino

Padre nostro

IMG_3134 Prof. don STEFANO ZENI – «Osiamo dire: “Padre nostro…”». La preghiera di Gesù nel contesto del Discorso della Montagna- incontro SAB 10 03 2017

Buonasera, ben trovati, grazie della bella presentazione, l’avevo scritta io quindi è vera, è perfetta. Arrivare dopo il cardinal Ravasi vuol dire o che si è molto bravi o o che si è molto pazzi. Io non sono molto bravo quindi fate voi. Gli amici degli amici mi hanno portato qui, io sono contento di essere qui cercando di affrontare con voi, guidati dallo Spirito Santo che abbiamo invocato, non solo la lettura, ma anche un po’ la riflessione su una delle pagine più belle del Nuovo Testamento che appunto, come ci diceva don Calogero, è la preghiera del Padre Nostro, la preghiera che Tertulliano chiama “Breviarium totius evangelicum”, la sintesi di tutto il Vangelo, perché la preghiera del Padre Nostro comprende non solo i compiti propri della preghiera, ma anche, potremmo dire, l’intero messaggio del Signore, tanto che appunto qualcuno osa chiamarla sintesi di tutto il Nuovo Testamento. Ci sono anche all’interno del Padre nostro, e lo vedremo, molti passaggi che chiedono all’uomo un modo diverso di comportarsi. è una preghiera che conosciamo fin troppo bene quella del Padre Nostro, una preghiera che troppo spesso recitiamo a memoria e a volte la memoria diventa da un lato una grande qualità, un grande dono, dall’altra, cercherò di dimostrarvi questo nel caso della preghiera, un grande rischio. Sappiamo che il Padre Nostro è l’unica preghiera che Gesù insegna, è l’unica preghiera che il Signore consegna ai suoi discepoli e per questo possiamo dire che davvero la preghiera del Padre Nostro è il modello di ogni preghiera.

Avete tre versioni sul foglio che vi è stato mandato a casa o sul foglio che avete tra le mani. Vedete che ci sono tre versioni del Padre Nostro, una versione nella colonna dell’estrema destra che troviamo nella Didachè; la Didachè è uno scritto che veniva usato in ambito liturgico, più o meno tra la fine del primo e l’inizio del secondo secolo, e la preghiera ricomposta e portata nella Didachè è molto simile alla preghiera che troviamo in Matteo; seconda occorrenza della preghiera e poi il Padre Nostro vedete sempre sul foglio si trova anche nel Vangelo secondo Luca. Questa sera ci fermeremo ad affrontare e a pregare un po’ perché credo sia il verbo opportuno e giusto da utilizzare per la preghiera così come ce la riporta l’evangelista Matteo, quella di Luca vedete è più breve rispetto a quella di Matteo. La Didachè l’ultima versione è la più lunga di tutte perché ha quella chiusura “tua è la potenza e la gloria nei secoli”. Preghiera che se qualcuno di voi ha partecipato a qualche incontro ecumenico viene sempre recitata secondo la formula della Didachè quando si recita il Padre Nostro con i fratelli di altre confessioni cristiane; normalmente si chiude la preghiera utilizzando proprio questa formula.

Dunque Luca e Matteo hanno la stessa preghiera ma diversa, più lunga in Matteo, più breve in Luca; non facciamo la storia della preghiera, non ci fermiamo a cercare di capire, di spiegare per quale motivo uno dei due evangelisti la allunga e l’altro la accorcia, ma quello che mi interessa sottolineare è che per entrambi, Luca e Matteo, la preghiera del Padre Nostro ha una grande importanza dentro le prime comunità cristiane.

La preghiera che veniva consegnata, Gesù l’ha consegnata ai suoi discepoli, i discepoli l’hanno consegnata alla comunità, le comunità la consegnavano ai singoli credenti. Circa l’origine della preghiera del Padre Nostro non mancano autori che la ritengono imparentata con le preghiere giudaiche, preghiere che erano note anche al tempo di Gesù; qui ci vorrebbe padre Giulio che su questo è molto più esperto di me, ma c’è una preghiera chiamata il Kaddish che, nella sua formulazione, preghiera giudaica,  veniva utilizzata all’interno della sinagoga alla fine della preghiera recitata dopo l’omelia, al suo interno questa preghiera, conosciuta nel mondo giudaico, ha molti passaggi simili al Padre Nostro. Vi leggo qualche riga: “sia magnificato, dice una delle richieste del kardish, sia magnificato e santificato il suo grande nome nel mondo, che egli ha creato secondo la sua volontà, e faccia regnare il suo regno durante la nostra vita e nei nostri giorni e durante la vita di tutta la casa d’Israele, tra poco e il tempo vicino e si dica amen”. Formule solenni, formule in qualche modo impersonali, formule che naturalmente sono limitate a Israele, ma formule che dicono qualcosa, perché da qui viene costruita anche la preghiera del Padre Nostro. Tant’è che nell’Antico Testamento i temi del Padre Nostro si trovano già, perché il Padre Nostro è costruita su vocaboli e su tematiche che sono universali, penso a termini quali pane, quale padre, quale debito, quale tentazione; la novità del Padre Nostro sta proprio nel rivestire questi simboli queste parole di un significato nuovo. Allora seguendo il cammino che voi state facendo come apostolato biblico, vorrei commentare il Padre Nostro a partire dalla versione di Matteo che ha inserito questa preghiera esattamente al centro del discorso della montagna. Pensate che il cardinal Martini fa notare che l’estensione del discorso della montagna nel testo originale greco presenta 303 righe, 117 prima del Padre Nostro e 116 dopo il Padre Nostro; quindi anche da un punto di vista, diciamo così numerico, se volete il Padre Nostro è inserito perfettamente al centro dei capitoli 5-6-7 che sono il discorso della montagna. E ancora Martini fa notare che la parola Padre nel discorso della montagna ricorre in totale 15 volte, 5 volte prima del Padre Nostro, 5 volte dopo il Padre Nostro, cinque volte nella sezione a cui appartiene anche il Padre nostro, e credo che questa scaletta numerica non sia semplicemente un gioco matematico, ma ci faccia capire davvero la centralità di questa preghiera che all’interno del discorso della montagna ci dimostra come per vivere il discorso della montagna bisogna pregare.

La preghiera del Padre Nostro in qualche modo è il cardine su cui viene costruita tutta la sezione del discorso della montagna. Se guardate il foglio che vi è stato consegnato noterete come la preghiera del Padre Nostro si colloca in una unità ben compaginata e armonica che comprende le tre opere fondamentali della fede giudaica, ho messo lì il brano intero dove si trova il Padre nostro, e le tre opere fondamentali del mondo giudaico e sono l’elemosina la preghiera e il digiuno. Il brano, lo vedete sul foglio, è un capolavoro di corrispondenze che si apre con una introduzione molto chiara: “state attenti a non fare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli”, e poi ci sono tre strofe che riguardano appunto l’elemosina, la preghiera e il digiuno.

Le tre strofe sull’ elemosina preghiera e digiuno sono disposte in due paragrafi; è un po’ tecnico questo passaggio ma è solo per spiegarvi come è strutturata la preghiera del Padre Nostro; al primo corrisponde il secondo in un parallelismo antitetico, cioè all’elemosina degli ipocriti corrisponde poi il testo, potete guardarlo con calma, corrisponde l’elemosina del discepolo, alla preghiera degli ipocriti corrisponde la preghiera del discepolo, al digiuno degli ipocriti corrisponde il digiuno del discepolo, e la nostra preghiera nei versetti che vanno da 9 a 13, e che sul foglio ho messo all’interno di una cornice, sono incastonati, se vedete, da una raccomandazione: “pregando non sprecate parole come i pagani”. Quindi Gesù dice siate essenziali e poi da una richiesta di perdono reciproco, perché la preghiera del Padre Nostro termina “se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”.

Bene dopo questo piccolo assaggio tecnico entriamo dentro la preghiera del Padre Nostro.

Non ho dubbi che la preghiera del Padre Nostro sia quella più recitata. Se una preghiera che recitiamo per qualsiasi necessità, in qualsiasi occasione, che sia di gioia o sia di lutto, che sia di lode, o sia di richiesta, ecco vorrei dire che il Padre Nostro è una specie di passepartout, una preghiera che utilizziamo per tantissime circostanze; addirittura una volta ho incontrato un confessore che dava come penitenza a coloro che andavano a vivere il sacramento della Riconciliazione questa penitenza: dì un Padre nostro alla Madonna. Ecco qui la cosa un pochino ha raggiunto l’apice del ridicolo, però questo ci fa capire come il Padre Nostro diventa una preghiera passepartout; ma questo almeno dal mio punto di vista non è sempre un bene, non è sempre un bene perché a volte questo ci fa perdere di vista la specificità di questa preghiera, parlo di me in questo momento. Il rischio maggiore che io corro quando recito la preghiera del Padre Nostro è veramente quello dell’andare a memoria, recitare una formula che non è molto diversa da una formula magica, e quindi è una preghiera che io recito perché l’ho imparata da bambino, una preghiera che ho sempre continuato a frequentare, ma che se io ogni tanto riuscissi a recitare con calma, pensando alle parole che questa preghiera porta al suo interno, io non so se la direi così serenamente e così tranquillamente.

Allora alla fine di questa serata mi piacerebbe che uscendo di qui non è che non recitiamo più la preghiera del Padre Nostro, ci mancherebbe altro, ma mi piacerebbe che la prossima volta che la recitiamo, la recitiamo con calma e ci pensiamo un pochino su; è una preghiera che più di ogni altro testo mette in evidenza l’aspetto della fraternità, siamo fratelli perché abbiamo un unico Padre, un unico padre in Cristo, e quel padre non è semplicemente mio ma è complicatamente nostro, non è un padre mio col quale faccio i conti da solo, ma è un Padre nostro, e quel nostro non è la somma di tanti io giustapposti, messi uno accanto all’altro, ma quel nostro dice il tentativo di unire, di amalgamare, di tessere, soprattutto di tenere insieme, e voi mi insegnate che mettere insieme è molto più facile che tenere insieme; perché mettere insieme chiede o comunque ha il vantaggio della novità, facciamo qualcosa di nuovo, costituiamo un’attività, un gruppo nuovo, c’è la novità, c’è l’entusiasmo della novità; tenere insieme porta con sè il peso della ordinarietà e della quotidianità, mi pare tutt’altro che facile.

Se girate il foglio potete vedere che il Padre Nostro è diviso in due parti:

la prima con tre richieste:

sia santificato il nome Tuo,

venga il regno tuo,

sia fatta la volontà tua

come in cielo così in terra.

La seconda parte ha quattro richieste:

il pane nostro, quello quotidiano, dà a noi oggi;

perdona a noi i debiti nostri come anche noi abbiamo perdonato ai debitori nostri;

non indurre, abbandonare noi alla prova o alla tentazione, diremo qualcosa,

e alla fine libera noi dal maligno.

Vi faccio notare che nella prima parte c’è al centro Dio, e quindi possiamo dire che la prima parte del Padre Nostro è la parte teocentrica, Dio sta al centro; nelle prime tre domande, c’è l’aggettivo ripetuto tuo, lo vedete l’ho messo in grassetto, nome Tuo, regno tuo, volontà tua, e il verbo, almeno in greco, è sempre al passivo.

Sia santificato, venga, in greco è un passivo, sia fatta; poi c’è la seconda parte, la seconda parte vede al centro l’uomo, e allora possiamo dire che la seconda parte del Padre Nostro è quella che possiamo chiamare la parte antropocentrica, con i suoi bisogni fondamentali, ci sono 4 domande riferite alla prima persona plurale: noi, nostro, nostri; anche questo si vede abbastanza chiaramente e a differenza della prima parte i verbi sono all’attivo, non più al passivo: dà, rimetti, non indurre non abbandonare, libera.

Guardate, l’unica domanda diversa dalle altre è la quarta, perché la prima, la seconda, la terza, la quinta, la sesta, la settima cominciano con un verbo; la quarta comincia con un sostantivo: il pane. Questa è una traduzione letterale del Padre Nostro, e quindi se vuoi provare a recitarlo a memoria le cose non funzionano, questa è una traduzione partendo dal testo originale, quindi questa cosa deve farci un pochino pensare; intanto che abbiamo una preghiera divisa in due parti e poi all’interno della seconda parte, la quarta domanda, che vedete sta al centro perché 4 è il centro di 7, per qualcuno richiamerebbe la Menorah, il candelabro ebraico a sette bracci, quindi la quarta richiesta forse è la richiesta più importante, quella del pane. Una cosa che mi piace notare del Padre Nostro è che ha un attacco asciutto non è una preghiera del tipo Signore tu che sei buono che sei creatore che ami tutte le creature eccetera eccetera, ma comincia subito Padre Nostro quindi senza nessun preambolo con una certa forza; Gesù ci autorizza a partire senza nessun preambolo a chiamare questo Dio, Padre; una parola anche più semplice di così non poteva essere, una parola comprensibile, perché anche le preghiere devono essere comprensibili, sapete. Rifuggiamo dalle preghiere troppo complicate alle quali rispondiamo ascoltaci o Signore, ma non abbiamo capito proprio tanto bene cosa siamo andati a chiedere al Signore; ecco una preghiera asciutta, una preghiera essenziale, una preghiera semplice, che non contiene la parola Dio, ma contiene invece la parola Padre che sembra essere stato l’appellativo preferito da Gesù nel definire Dio, tanto che la parola Padre nel Vangelo ricorre 170 volte. Quindi credo che sia importante che i Vangeli hanno per 170 volte l’espressione Padre riferite a Dio, ma è chiaro che le radici di questo termine sono nell’Antico Testamento, perché anche l’Antico Testamento conosce Dio come Padre.

I lettori cristiani però sentono che qui non si parla del Padre dei filosofi, del Padre degli dei, qui si parla del Dio di Abramo, del Dio di Isacco, del Dio di Giacobbe che ha creato Israele, che ha eletto il suo popolo e che ha guidato nella sua storia con amore di Padre; e allora ci hanno sempre insegnato, credo anche da queste parti, che Dio è onnipotente, misericordioso, che conosce ogni cosa, che è creatore del cielo e della terra, e va benissimo perché è corretto, ma, guardate, se a tutte queste caratteristiche di Dio non premettiamo il fatto che egli è Padre, tutte le altre caratteristiche perdono il loro sapore, e perdono la loro forza che questo Padre è nostro, non è semplicemente il Padre mio, è un Padre che in qualche modo dice la pluralità, si tratta di un aggettivo possessivo, è il Dio della Bibbia, è un Dio nostro, è un Dio che non è proprietà privata di qualcuno, potremmo dire, è un Dio in relazione, è un Dio che ama la relazione, è un Dio che è addirittura relazione, e sappiamo che la relazione si basa su un noi, non può esserci relazione della singolarità, e nostro; in questo contesto, ancora una volta che cosa dice in questo contesto nostro, dice fraternità, dice che, anche se non è una parola molto usata la parola fraternità, dice che è comunità, dice che è gioco di squadra, dice che è gruppo, dice che è fare rete, questo almeno per me sottintende la parola nostro.

La questione del ”nostro” credo che abbia conseguenze molto importanti anche sulla visione antropologica cristiana, siamo un io o siamo un noi? e immaginate che davvero questo è un pensiero scardinante rispetto al l’individualismo odierno che punta l’attenzione più sul mio che sul noi, se usciamo dalle mani e dal cuore di un unico Padre siamo fratelli non siamo un io ma siamo un noi.

Che sei nei cieli così continua la preghiera. E’ chiaro, non indica il luogo di residenza di Dio, il Dio che se ne sta lì fermo immobile nei cieli, disinteressandosi di noi e della nostra vita; piuttosto che sei nei cieli vuole mettere in luce il fatto che Dio è altro da noi, che Dio è diverso da noi, che Dio è più grande di noi. Già il profeta Isaia nel capitolo 55 ci ricorda che le vie di Dio non sono le nostre vie, e che i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri; cosa vuol dire questo? che l’uomo anche se ci ha provato e ci sta provando, non può sostituirsi a Dio mai e poi mai; il Dio che è nei cieli dice che Dio è totalmente altro rispetto all’uomo e che nonostante le capacità, la bravura l’intelligenza, la furbizia, le doti che ognuno di noi può mettere in campo, nessuno può pretendere di diventare come Dio. Mi pare che un po’ sia l’idea del Peccato originale; abbiamo sentito nella prima lettura di domenica scorsa sa che se mangiate di quest’albero diventerete come Dio. In fondo è questo. credo, il grande peccato e la grande tentazione di sempre. Allora vedete Dio è Padre Nostro e questo è scandaloso, questo è scandaloso perché quando succedono cose per noi incomprensibili, quando succedono eventi per noi inaccettabili, come si fa a dire che Dio è un Padre, come si fa a dire che Dio è un Padre nostro; ecco io spero che questa domanda e che questo dubbio ci sia anche in ciascuno di voi, perché se mancano le domande manca l’interesse, se nella nostra fede non ci sono le domande vuol dire che la nostra fede fa fatica a crescere. Dico una cosa che forse può suscitare qualche disappunto, qualche movimento di disappunto, ma i dubbi, presi da un certo punto di vista, possono aiutare a crescere; quindi dubitiamo nel senso positivo per cortesia di questo Dio ogni tanto, chiediamoci chi è, come faccio a dire che Dio è Padre; e a questo Dio che è Padre chiedo, nella preghiera, prima di tutto che sia santificato il tuo nome, anzi il nome tuo; è un imperativo, mamma mia, questo fa tremare il sangue nelle vene, rivolgersi a Dio con un comando. Guardate, può essere scandaloso fino a un certo punto, perché penso che quando uno prega, e  prega per una cosa che gli interessa, a questa preghiera affida tutta la sua passione ed è disposto persino ad alzare la voce, non solo a chiedere, ma quasi quasi a comandare, a chiedere con una certa forza, che Dio faccia quello per cui lo sto pregando.

Sia santificato il nome Tuo. Nei due Testamenti la santità definisce prima di tutto Dio. Il profeta Isaia ci riporta nel capitolo VI al versetto 3 questa scena in cui davanti al Signore, davanti ad Adonai, i Serafini della sua corte proclamano Santo Santo Santo il Signore Dio degli eserciti. E anche il libro dell’Apocalisse ci dice che i quattro esseri viventi incessantemente ripetono Santo Santo Santo il Signore Dio l’Onnipotente. E Gesù nel Vangelo di Giovanni al capitolo XVII, quando fa la preghiera sacerdotale, cosiddetta, rivolta al Padre lo chiama Padre Santo, quindi la santità definisce Dio, Dio è il Santo lui solo è Santo.

Sia santificato il nome Tuo cosa vuol dire? caro Dio pensaci tu, caro Dio fai in modo che il tuo nome possa essere santificato da te stesso? Vi dicevo che è un passivo, come gli altri due che seguono, ma non vuol dire che l’uomo è chiamato a tirarsi fuori dalla propria responsabilità. Cosa significa santificare il nome di Dio? Credo che santificare il nome di Dio chieda anche a ciascuno di noi di mostrare la presenza di Dio con la parola, con la vita, con l’esempio, e il nome di Dio si santifica in tanti modi diversi, rispettando l’altro, in nome di Dio, accogliendo l’altro in nome di Dio, perdonando l’altro in nome di Dio, facendo del bene in nome di Dio, eccetera eccetera.

E poi chiediamo a questo Dio che venga il regno tuo. Chiaro, anche qui la preghiera continua con una richiesta che non dice fa che il tuo dominio, il tuo regno geografico si estende dappertutto e che ci sia una monarchia assoluta, non chiediamo questo assolutamente. Sant’Agostino diceva che si prega che il dominio del male si restringa, e si estenda, e si approfondisca in ogni persona il dominio di Dio.

Cos’è il regno di Dio? Il regno di Dio è uno stile, il regno di Dio è un modo di comportarsi, un modo di essere, è un modo di vivere pienamente abitato da Dio. Quindi vedete chiediamo non tanto che Dio da solo proclami la grandezza del suo regno, ma che ci aiuti ad essere collaboratori di questo stile, che si traduce in accoglienza, in perdono, in solidarietà, eccetera eccetera.

Ricordiamoci che non si tratta di delegare, c’è un problema: qualcuno deve fare qualcosa. Ho letto una volta una frase che mi è sempre rimasta impressa e che dice così: non è il molto fatto da pochi, ma il poco fatto da molti a lasciare il segno, questo vuol dire venga il regno tuo.

Sia fatta la volontà tua, è uno dei pilastri del Vangelo di Matteo; fare la volontà di Dio, è il punto di partenza che illumina il cammino di Gesù Cristo che per primo dichiara di essere venuto per compiere la volontà di Dio: si compia la tua volontà dice nell’ora estrema del Getsemani Gesù secondo il Vangelo di Matteo nel capitolo 26. Ed è interessante che il verbo che qui viene utilizzato in greco non sia il verbo poieo che significa fare, ma qui il greco usa il verbo gignomai che vuol dire avvenire, e c’è una differenza abbastanza importante, perché dice che c’è un dinamismo. Non c’è l’idea di una staticità di qualcosa di fermo, ma c’è l’idea di qualcosa che si sta muovendo, di qualcosa che cammina, la volontà di Dio è qualcosa che avviene nella storia del mondo, e nella storia di ciascuno di noi, è un progetto che si va realizzando grazie all’iniziativa di Dio stesso, e a volte la volontà di Dio avviene, cammina, a volte accade in modo lineare, a volte invece la volontà di Dio va compiuta, va fatta in modo collaborativo. Anche qui sia fatta la volontà tua, in fondo la preghiera che noi rivolgiamo a Dio la diciamo perché faccia bene a noi; guardate che Dio, dormite tranquilli stanotte, non ha bisogno delle nostre preghiere, la preghiera serve all’uomo per rendersi conto della sua finitudine, del suo limite, e allora diciamo a Dio aiutami in fondo ad essere collaborativo e ad essere capace di aiutarti e di aiutare gli altri nella realizzazione del regno del nome e della volontà.

Come in cielo così in terra. Vedete dal foglio, che io faccio la proposta di riferire questa espressione non solo al sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra ma ho messo lì una parentesi graffa per raccogliere tutte e tre le prime domande e dire sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, sia santificato il tuo nome come in cielo così in terra, venga il tuo regno come in cielo così in terra, cioè dappertutto in ogni situazione, non solo in certi ambienti, non solo in certe occasioni, non solo in certe situazioni, e allora la preghiera è l’unica cosa che può costruire un ponte, forse non è l’unica, ma è una delle cose che può costruire un ponte, che può annullare le distanze, che mi permette di essere in comunicazione e in relazione con le altre persone, e allora, se mi è permesso, non abbiate paura né di chiedere una preghiera, né di raccogliere la richiesta di pregare per qualcuno. Questo, dal mio punto di vista, è collaborare come in cielo così in terra alla volontà, al regno, al nome di Dio.

Il pane. Quello quotidiano dice il nostro testo. La prima richiesta della seconda parte del Padre Nostro riguarda il pane; il pane, dacci oggi il nostro pane quotidiano noi diciamo. Sottolineavo all’inizio di questo incontro che è l’unica richiesta che comincia con un termine e non con un verbo, con un sostantivo, il pane, perché? perché la domanda del pane mi pare sia la più provocatoria, perché tutti, tutti abbiamo bisogno di pane, oggi più che mai, in questo contesto e in questo periodo di crisi e di difficoltà generalizzata; sono sempre di più le famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese perché sulle loro tavole manca il pane, e quando manca il pane manca la vita, e quando manca il pane manca la serenità, e quando manca la serenità manca la voglia di fare tutto il resto; allora davvero pane indica il nutrimento essenziale per vivere di cui tutti, tutti, tutti abbiamo bisogno.

Date il nome che volete a questo pane, chiamatelo con qualsiasi altro alimento che vi viene in mente, però davvero il pane indica tutto il bisogno dell’uomo di avere qualcosa di concreto sulla tavola. E il pane è mio? Il pane è nostro, esattamente come il Padre è nostro, non c’è un pane mio; il pane che chiedo a Dio è un pane nostro, non è una proprietà privata, ma è un bene comune, e per questo quando preghiamo dobbiamo chiedere il pane che è di tutti, non solo il pane di qualcuno perché tutti hanno, avrebbero purtroppo dobbiamo dire, diritto al pane. E noi chiediamo il pane quotidiano, il pane di cui ogni giorno abbiamo bisogno per vivere. E’ una domanda, come dicevo, molto concreta e la rivolgiamo a Dio perché nella preghiera ci rendiamo conto che tutto è dono di Dio, pane compreso, che non vuol dire che io incrocio le braccia e dico Dio pensaci tu per favore, vuol dire che io devo fare quello che posso fare, tutto quello che posso fare, ma con la grande umiltà di riconoscere che i doni vengono da Dio. Una richiesta del pane che è molto difficile perché c’è un piccolo aggettivo: quotidiano. Quotidiano in greco si dice “epiousion”, se qualcuno conosce il greco l’ho messo lì, ed è questo quotidiano che caratterizza il pane, dico che questo aggettivo ha fatto impazzire gli studiosi che ancora non sono arrivati ad una soluzione della questione, tant’è che la traduzione latina rende questo “epiusios” con “supersubstantialem” cioè supersostanziale da un lato, Matteo, e dall’altra Luca lo traduce con cotidianum, quindi noi prendiamo nella preghiera di Matteo un pezzettino che viene in realtà dalla preghiera di Luca.

Allora quando una parola si traduce in più di un modo vuol dire che è una parola ambigua, e non sempre le parole si possono disambiguare, a volte le parole rimangono così perché hanno significati troppo ampi per essere risolti o compresi; allora ci sono alcune, 3 sostanzialmente ipotesi, per spiegare questo “quotidiano”; qualcuno dice che è la richiesta di un pane alimento per lo spirito e non per il corpo; non so se vi piace questa interpretazione, chiediamo a Dio un cibo non per il corpo ma per lo spirito; qualcuno dice che si tratta di un pane necessario all’esistenza, cioè chiediamo quel pane che è necessario per la vita; qualcun’altro dice, ed è la terza interpretazione, che chiediamo il pane per il domani o del domani. Busta A, B o C. Credo che A,B,C, debbano, per forza di cose, stare insieme. Il pane che chiediamo è un pane quotidiano e in quel “quotidiano” ci stanno almeno tutti e tre questi elementi; un pane che non è solo per il corpo ma è anche per lo spirito, il pane che è per la vita, il pane che è per il domani, quindi credo che sia importante tenere aperta questa possibilità.

E’ una provocazione: questa in fondo è la domanda più vera del Padre Nostro, siamo sinceri, mette alla prova la nostra sincerità perché possiamo anche illuderci in buona fede di avere il grande desiderio della santificazione del nome di Dio, il grande desiderio che venga il regno di Dio, il grande desiderio che si compia la sua volontà; ma cari amici se manca il pane tutti questi desideri rimangono nell’iperuranio; è la domanda più concreta del Padre nostro. E poi ce n’è un’altra: e perdona a noi i debiti nostri, traduco letteralmente, come anche noi abbiamo perdonato ai debitori nostri; altro bisogno fondamentale è quello del perdono dei debiti. E’ interessante che Matteo non dica perdona i peccati, ma perdona a noi i debiti. Non so se qualcuno di voi ha debiti, ma chi ha i debiti sa che sono una piccola spina nella carne, un mutuo, qualcosa che non mi lascia dormire la notte; ecco Matteo non parla di peccati ma parla di debiti. C’è una differenza? Certo che c’è una differenza, la differenza è questa: peccato è un vocabolo che appartiene alla sfera del sacro, alla sfera religiosa che richiama una norma trasgredita dall’uomo, c’è una norma divina che viene da Dio l’uomo la trasgredisce, l’uomo compie un peccato. La parola debito invece è un termine che riguarda piuttosto il campo delle relazioni interpersonali, quindi dì qualcosa che volontariamente o no incide in maniera negativa sui rapporti umani. Chi può perdonare i peccati? Solo Dio. Chi può perdonare i debiti? Anche l’uomo. Vedete che questa richiesta non è Signore pensaci tu, perdona i peccati come noi li abbiamo perdonati ai nostri debitori, ma perdona i debiti. E poi la cosa ancora più bella è che noi quando preghiamo il Padre Nostro diciamo rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Se prendiamo il testo originale lì c’è un tempo greco, che si chiama aoristo, che deve essere tradotto così: “rimetti a noi i nostri debiti come noi abbiamo perdonato o rimesso ai nostri debitori”; e mi pare davvero che questo ponga una condizione precisa al perdono di Dio. Cerco di farvelo capire sottolineando quel “come” “anche”. Cosa vuol dire “come” “anche”? E’ come se io dicessi caro Dio perdonami nella misura in cui io ho perdonato ai miei debitori; non so voi, ma io ho paura ho tanta paura, perché vuol dire che dico a Dio rendimi esattamente la stessa misura che io ho dato agli altri.

Quel “come” “anche” è pesante, sapete. Qualcuno cerca di renderlo meno pesante dicendo che quella parolina greca lì, c’è un “os”, si potrebbe anche tradurre con affinché noi perdoniamo ai nostri debitori, quindi dammi l’esempio. Qualcuno cercando di risolvere la questione ma in realtà, secondo me, peggiorandola, dice che quel “come” potrebbe anche essere quando abbiamo perdonato ai nostri debitori; non è tanto meglio credo, ecco solo per farvi capire che quel “come” “anche” crea qualche problemino, sapete? Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi, e uno potrebbe dire io sono orgoglioso, vado davanti a Dio, gli dico Dio io sono stato molto bravo, ho perdonato ho rimesso i debiti, quindi per favore rimettimi i debiti. Certo richiesta molto lecita, pensateci un po’ su, non è una domanda così scontata, sapete, stiamo attenti anche a non dire però che io mi faccio forte davanti a Dio e gli dico che siccome io ho perdonato, e ho qui il bollino, tu devi perdonarmi. Guardate che il perdono di Dio è sempre prima del perdono dell’uomo: Eventualmente il perdono di Dio diventa il modello sul quale io sono chiamato a misurarmi; forse anche qui l’idea della preghiera che io faccio perché dico a me stesso e mi ricordo che per chiedere il perdono a Dio devo aver perdonato, non posso vivere la dinamica del perdono a senso unico.

C’è una parabola nel capitolo XVIII di Matteo, di un debitore che va dal suo padrone e chiede: signore, ti prego, perdonami, ti restituirò ogni cosa, una cifra esorbitante, questo padrone commosso, misericordioso, perdona il debitore e poi questo debitore perdonato, che io immagino sarà uscito dal palazzo saltando dalla gioia, incontra un suo conservo che gli deve un’inezia, lo prende per il collo e lo fa buttare in prigione perché deve restituirgli tutto. Quello è l’esempio, e poi sapete come va a finire, il padrone richiama il servo perdonato e lo fa buttare in prigione: “non dovevi forse tu perdonare come io ho perdonato a te”? Leggete il Padre Nostro con quest’ottica.

A proposito del perdono solo per dirvi che per Matteo il perdono è fondamentale nel piano evangelico, mi pare che da qualche parte proprio lì all’inizio di questa parabola nel capitolo XVIII Gesù dica a Pietro che gli chiede basta se perdono 7 volte? e già Pietro pensa di aver sparato una cifra enorme, Gesù gli risponde 70 volte 7; ragionieri mi dite che fa 490 ma non c’entra niente il perdono non è matematica; 70×7 vuol dire sempre, tutti siete d’accordo che bisogna perdonare sempre e tutti; ma si, si va bene, però… quello lì… proprio fino in fondo magari no. La preghiera del Padre Nostro è molto chiara e non indurre e non abbandonare noi alla prova; qui ci vorrebbe un altro incontro. Sapete che nel 2008 la Conferenza episcopale italiana ha ritradotto la Sacra Scrittura e ha cambiato la preghiera del Padre Nostro; nella formula liturgica diciamo “non ci indurre in tentazione”, nella Sacra Scrittura oggi leggiamo “non ci abbandonare alla tentazione”. Indurre cosa vuol dire? spingere? vi piace un Dio che spinge verso la tentazione? non è possibile, oltre a non piacere non è possibile. Dio non induce nessuno al peccato, Dio eventualmente mette alla prova. Avete in mente la storia di Abramo? ci ha messo una vita per avere un figlio suo e di sua moglie Sara e sul più bello Dio gli dice “Abramo prendi il tuo figlio il tuo unico Figlio portalo sul monte e sacrificalo”; è una prova o è una tentazione? se siamo andati a messa domenica: sono tre prove o sono tre tentazioni? non c’è dubbio, tre tentazioni perché? perché soggetto di quelle tentazioni è il tentatore, il soggetto della prova è Dio. Sapete dov’è l’inghippo? che in greco prova e tentazione si dice esattamente nello stesso modo “peirasmos”, quindi cos’è che mi fa capire se sono davanti a una prova o ad una tentazione? Il contesto. Il Padre Nostro è richiesta a Dio di non ci indurre o di non abbandonarci; letteralmente il verbo greco è un verbo di movimento, quindi letteralmente bisogna tradurre eis fero, indurre, spingere. Teologicamente quel verbo si può interpretare con “abbandonare”, la Cei ha fatto una scelta teologica, alla luce di tutta la storia della salvezza dice che Dio non mette in tentazione nessuno, ma mette alla prova.

L’ultima: ma liberaci dal male o dal maligno è uguale. Il termine greco è ambiguo perché vuol dire tanto male, quanto maligno, però non cambia niente perché il male da chi viene? dal maligno, quindi chiedere che ci liberi dal male vuol dire che ci liberi dal maligno, vuol dire chiedere a Dio che ci tenga lontani dal male, e tenga il male lontano da noi. Il male lo sappiamo, è una costante nella vita delle persone, anche nella vita di ciascuno di noi, ecco il male lontano da noi e noi lontano dal male. E vedete e chiudo due minuti e ho finito, un minuto e mezzo, chiedo scusa un minuto e mezzo e finisco.

La preghiera del Padre Nostro finisce sospesa nell’aria, finisce in fondo con una domanda: liberami dal male; è una richiesta, la preghiera del Padre Nostro, è una preghiera che non si chiude sulla certezza di aver ottenuto qualcosa, ma rimane aperta sull’anelito di chiedere al Signore tutto quello che abbiamo visto in queste sette domande; perché la preghiera non è altro che questo, sapete, la preghiera è un chiedere è un chiedere a Dio, sto parlando della preghiera del Padre Nostro; ed è una preghiera talmente importante che recitarla a cuor leggero non fa bene, vi prego recitatela ancora, ma recitatela lentamente e pensando un pochino alle parole che andiamo a chiedere “sia fatta la tua volontà” diciamo; è facilissimo a parole e poi quando succede qualcosa che non è conforme alla mia volontà, come la metto? ho appena chiesto a Dio “sia fatta la tua volontà”, succede qualcosa che va contro quello che io pensavo e faccio fatica? Diciamo troppo facilmente sia fatta la tua volontà, oltre a chiederla dobbiamo poi, quella volontà, accettarla, ed è per questo allora che la preghiera del Padre Nostro viene spesso introdotta da quel “osiamo dire”, il celebrante nella Messa spesso dice: “obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino insegnamento osiamo dire Padre nostro… che sei nei cieli sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra; dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male.

 

 

 

Parrocchia S. Pietro Apostolo Via del Duomo 67100 L'Aquila; Parroco: Don Giuseppino; cell.: 3402656214.