Altri cenni storici
Articolo tratto dal volume III “Recupero e riqualificazione dei centri storici del Comitatus Aquilanus a cura di Marcello Vittorini
Altri cenni storici della Chiesa di S. Pietro apostolo
CENNI STORICI
(A.CLEMENTI)
Fu Vicus amiternino costituente la struttura diffusa della città di Amiternum come attesta il rinvenimento di una iscrizione che testimonierebbe la presenza di octoviri e quindi la presenza di una magistratura che ben rispondeva alle esigenze amministrative di popolazioni che vivevano disperse nella campagna (AN. SherwinWhite, The roman citizenship, Oxford, 1930), ma come attestano anche i rinvenimenti di monumenti funerari, di fregi reimpiegati, di frammenti di steli funerarie e no. Notevole il vicus anche per la testimonianza del culto della dea Feronia proveniente da un cippo che aveva la funzione di delimitare l’area sacra della dea e che indicava il delubrum o tempietto dedicato alla dea di cui viene indicato il lato di accesso ai pedoni ed ai carri.
Non si può tuttavia stabilire se l’attuale ubicazione dell’insediamento corrisponda con precisione a quella del vicus. Ancora in età tardo antica si registra la presenza in zona di insediamenti prebenedettini.
Poi si avrà il dominio dell’Abbazia di Farfa che sarà lungo e diffuso in pieno secolo XI in seguito all’azione di due abati di Farfa Campone e Giovanni. Il possesso della villa di Coppito viene secolarizzato dai figli dei due abati che attraverso finte compere ne divengono signori.
Coppito è registrata come villa ancora nel 1012, tra i beni offerti da Transarico sempre al monastero di Farfa. E’ elencata quindi tra i grandi possedimenti farfensi della zona insieme con le ville di Pile e di Roio, il castello di Camarda, S. Crisante, Paganica e Civita di Bagno.
Le terre di Villa Coppito saranno oggetto di contenzioso nel 1014 quando l’Abate Ugo le rivendicherà al monastero in seguito a finte vendite operate al tempo di Ilderico in favore dei figli di quest’ultimo.
Significativo anche il fatto che nel 1112 Benincasa, vescovo di Rieti, consacri la chiesa di S. Pietro di Poppleto nella piana amiternina. Quel Benincasa che, come dice il Toubert, a laissè le souvenir d’un grand batisseur dont la figura rappelle celle de Perre d’Anagni. Siamo nel momento più vivace del ristabilimento delle giurisdizioni episcopali. Non passerà molto tempo e nel 1154 Anastasio IV invierà a Dodone vescovo di Rieti il breve di riconferma dei confini della diocesi di Amiterno in quella di Rieti. Tra esse naturalmente la pieve di S. Pietro di Poppleto consacrata appena quarantadue anni prima. Da notare che Poppleto dista dalle altre pievi pochissimi chilometri. Dalla pieve di S. Sisto appena qualche chilometro. Non era estraneo a questa nascita della pieve di S. Pietro di Poppleto un fatto signorile. Signori di Poppleto erano dal sec. X i figli di Ilderico nipote dell’Abate di Farfa Campone et erat tunc temporis contentio inter huius monasterii monachos et nepotes Hilderici ac filios eius qui tenebant has curtes huius manasterii idest [.1 curtem de Poplito.
Le giurisdizioni farfensi tendono quindi ad una laicizzazione progressiva. Soprattutto la curtis de Poppleto che è gestita dai Camponidi signori ormai laici. Quale migliore opportunità per i discendenti di Campone, gli usurpatori, di affermare il loro potere che quella di favorire la ripresa del potere episcopale a scapito del potere di Farfa? Ed in effetti il potere giurisdizionale delle grandi Abbazie tende ad appannarsi.
Ma ormai siamo alle soglie dell’occupazione normanna. Nel Catalogus Baronum risulta che Gentile e Gualtieri di Poppleto tengono in capite, ossia direttamente dal re, Poppleto che è tenuto a conferire 4 soldati. Il feudo di buon rilievo deve conferire in tutto 56 soldati e 108 serventi. Al momento della conquista del regno da parte dello svevo Federico Il, la resistenza dei signori di Coppito sarà vivace tanto che essi saranno esiliati e costituiranno il primo presidio antisvevo che in prospettiva darà vita alla Città dell’Aquila.
Dalla fondazione di essa in poi la storia del castello farà un tutt’uno con la storia della città fino alla fine della libertas del comitatus.
Subirà poi, il castello, la vicenda della rinfeudazione a partire dal primo infeudamento che ne farà Carlo V ai capitano spagnolo Giovanni Yvagnes con tutti i pesi e gli aggravi che ciò comporterà, aprendosi pertanto la via ad una progressiva omologazione che toglierà a Coppito la caratterizzazione di forte centro del Comitatus che a quell’epoca non esisterà più di fatto e di diritto.
PARROCCHIALE Dl SAN PIETRO
(O. ANTONINI)
ORIGINI
I sicuri valori architettonici di questa costruzione sacra concezione d’impianto, qualità formali e plastiche, e perfezione e solidezza d’opera, corrispondono al notevole significato che Poppleto, poi Coppito, rivestì storicamente. In quanto l’edificio sorge sul sito stesso della chiesa vescovile di Pitinum — la città romana ancora esistente nel 499 e distrutta certamente, come la vicina Amiternum, dall’invasione longobarda del 571-74 – Poppleto era l’erede diretta di quella sede episcopale.
In seguito, decimata e dispersa la popolazione, instauratosi altro sistema politico, economico-sociale e di habitat, passato il territorio sotto dominio dell’abbazia di Farfa dal sec. VIII circa, la diocesi fu incorporata a quella vicina di Amiterno e l’ex cattedrale, ricostruita in altre forme ed ormai isolata vicino al fiume tra salici ed alti pioppi (populus alta = Poppletum), assurgeva, fino ancora il 1012-114, ad unico punto collegante e di riferimento per le popolazioni quale importante pieve nel contestuale assetto insediativo sparso.
Nella prima metà del sec. XI essa diveniva polo attivo di urbanizzazione, venendo a determinare l’incastellamento nell’attuale agglomerato sulla vicina rupe, pur senza assurgere, come si nota, a criterio generatore della trama abitativa, bensì restando nella sua solitudine e dando anzi le spalle al nuovo borgo. Poppleto poi si imponeva nella regione come il più importante centro dell’amiternino per i suoi potenti feudatari, che sfidarono ben due volte nel ‘200 il grande Federico II assieme ai Conti di Celano. Non fu dunque un caso che, dopo la fondazione dell’Aquila, solo la sua parrocchiale intra, tra le amiternine, fosse designata a chiesa capo-quarto.
San Pietro extra longobardo-franco, ossia di prima dell’incastellamento, è menzionato nel Chronicon farfense per l’anno 793, e ad esso apparterranno i resti scultorei individuabili sulle strutture chiesastiche odierne: la croce latina a tipiche terminazioni a volute, sul portale maggiore, e la centina falcata di una piccola monofora di cripta, decorata a trecce bisolcate, visibile all’interno della canonica su quella che era l’originaria fiancata longitudinale nord della chiesa.
Invece il San Pietro di dopo l’incastellamento sussiste nella chiesa odierna, che la pertinente nota iscrizione ancor oggi murata sul prospetto indica riconsacrata nel 112 dal vescovo di Rieti Benincasa, implicandone la trasformazione in parrocchiale, in quello scorcio di secolo, da pieve che era, sebbene nella bolla 1154 di Anastasio IV sia ancora indicata, per la forza della tradizione, col termine di plebs.